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di Gabriele Testi

C’è una misconosciuta storia di uomini, sviluppatasi fra Piacenza e Rimini, che data ormai a un secolo fa e che un libro recente si è incaricato di raccontare, dando conto delle peculiarità di una regione italiana che tanto ha fatto per l’unità nazionale anche nei foschi anni della Grande Guerra, pur senza dare troppo nell’occhio. 

Per volontà del Comando Supremo, fra il 1915 e il 1918, la riva sinistra del Po costituì a lungo il limitare della zona bellica e i territori vicini e pianeggianti appartenenti all’attuale Emilia-Romagna si trovarono nella posizione ideale per trasformarsi in un enorme nosocomio a disposizione della sanità militare.

La Prima Guerra Mondiale approfittò così di una regione logisticamente e geograficamente non troppo lontana, ma nemmeno pericolosamente adiacente, alle zone di combattimento e dotata di diverse strutture di cura e ricerca scientifica affermate, in primis le antiche università di Bologna, Ferrara, Parma e Modena, per accogliere nella relativa tranquillità delle retrovie i soldati feriti, “impazziti” e ammalati provenienti dal fronte austro-ungarico.

È l’inedito leit-motiv, sul filo della storia sociale, che attraversa per intero un volume edito dalla CLUEB e intitolato “Una Regione Ospedale”, new entry della collana “Passato futuro” diretta da Patrizia Dogliani (340 pagine, 19,00 euro il prezzo). La ricerca, curata da Fabio Montella, Francesco Paolella e Felicita Ratti, con contributi di Michele Bellelli, Mirtide Gavelli e Fiorenza Tarozzi, rivela subito le proprie qualità.

Un lavoro organico dalle molteplici prospettive e dal respiro multidisciplinare, nel quale si intrecciano la cronaca locale, la storia europea e quella di scienza, tecnica e medicina. Finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola e realizzato in collaborazione con l’Istituto Storico di Modena e il sostegno della Novartis, il libro presenta diversi saggi inediti su una molteplicità di argomenti.

Dall’organizzazione dei servizi ospedalieri (i luoghi, gli spazi, il personale, le terapie…), alla sperimentazione di nuove tecniche e di moderne strutture di ricovero, fino ai problemi collegati all’assistenza degli invalidi e alla rieducazione dei mutilati, al contrasto della pandemia di “influenza spagnola” al “lascito” di un efficiente sistema di cure che non potrà non riverberarsi positivamente sulla qualità del servizio sanitario emiliano e romagnolo nei decenni a seguire.

Molti sono anche i singoli casi trattati: dall’Istituto Rizzoli di Bologna agli ospedali di Modena, Piacenza, Ravenna e Forlì, dai centri psichiatrici di Reggio Emilia, Imola e Ferrara ai luoghi contumaciali nelle località minori.

Non mancano alcune “chicche”, come le interviste all’ultimo testimone della Grande Guerra modenese, don Antonio Galli, classe 1908, sacerdote nel comune appenninico di Pievepelago, scomparso nell’estate di quest’anno, e l’inedita storia comparata e documentale della “spagnola” in Provincia di Modena e nel Land Salisburgo in un parallelismo fra regioni omologhe di Europa…

Foto: Una Regione Ospedale

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5 thoughts on “La qualità della sanità in Emilia-Romagna? Un inatteso lascito della Grande Guerra

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