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Ecco il mondo piccolo di Guareschi, quella “terra grassa e piatta che sta tra il fiume e il monte” e che risponde al nome di Brescello, paesino di cinquemila anime della bassa reggiana recentemente tornato alla ribalta per tristi vicende di ‘ndrangheta (cancro infiltrato dai tempi dei soggiorni obbligati).
In questo gioiello a ridosso del Po, paese di nebbia e ricordi, Giovannino Guareschi e il regista Julien Duvivier decisero di ambientare il film di don Camillo e Peppone.
Oggi il Comune è rimasto un set cinematografico. Qui ogni cosa rievoca le eterne diatribe tra il prete ribelle e il sindaco comunista. Così in via Domenico Giglioli si trova la ‘mitica’ campana sputnik, voluta da Peppone per guerreggiare con quella della chiesa.
La piazza è un inno alla pellicola che porta la firma del regista francese. Don Camillo e lo storico rivale stanno ai due lati, l’uno davanti a Santa Maria nascente, l’altro di fronte al ‘suo’ municipio, ‘fetta’ di casa sopravvissuta ai decenni. Dalla parte opposta della piazza, sotto i chiostri, nell’agosto del 1998 operai al lavoro svelarono l’antica insegna dell’ufficio della direzione delle riprese cinematografiche, la sede della produzione della Amato-Rizzoli, che finanziò la realizzazione della fortunata serie.
Tutt’attorno locali, ristoranti, bar, il museo della civiltà contadina, gli antichi strumenti di lavoro, i ‘ferri’ degli artigiani, le foto ingiallite. In chiesa c’è pure una cappella di don Camillo col Cristo parlante. A ricordarci che i tempi sono cambiati ci sono le sedi di partito, lungo la via che porta alla piazza. Lega Nord e Pd, alle prese con le primarie. Ma soprattutto c’è una enorme statua dorata di padre Pio, donata dalla comunità calabrese, che da queste parti è ben presente.
I nomi dei due inossidabili protagonisti della saga guareschiana (impersonificati da Gino Cervi e Fernandel) sono ovunque. Dietro la piazza tutti gli antichi reperti sono custoditi nel museo, circondato dal carro armato della “rivoluzione proletaria” e, sul retro, dalla locomotiva dell’esilio, restaurata da volontari brescellesi.
“Il vero treno popolare è quello delle ferrovie Sud Est” disse Peppone. Quel convoglio oggi si è portato via le ideologie ma non il ricordo.

Filippo Manvuller

 

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