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Il Coordinamento delle Associazioni islamiche di Milano Monza e Brianza (CAIM) ha avviato una simpatica e accattivante campagna con la quale vuole sollecitare la Giunta milanese del Sindaco Pisapia ad autorizzare la costruzione di una grande moschea a Milano in vista ed entro l’EXPO 2015. L’accorato appello di questi giovani fa leva  sull’esempio di convivenza multiculturale che Milano rappresenterebbe oggi, sul fatto che a chiederlo sono anche cittadini milanesi, sul fatto che una moschea serve ma, soprattutto, sul fatto che si tratta di un diritto. Un video ben realizzato, che smuove i cuori, appellandosi al senso di equità e giustizia che contraddistingue tutti (o quasi) i cittadini milanesi.

Vorrei comunque elencare alcune (buone) ragioni per le quali la Giunta milanese non dovrebbe assecondare il CAIM.

  1. Il moschea non è un diritto. La costituzione, articolo 19, sancisce che “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,  individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.” L’attività di culto, pertanto, è un diritto, l’edificio di culto, no! 
  2. L’Islam non è, formalmente, una religione. L’articolo 8 della Costituzione sancisce, sì, che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge ma precisa che quelle diverse dalla cattolica non possono andare in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. (esattamente come il sistema sociale basato su caste proprio dell’induismo è incompatibile con i dettami di uguaglianza sociale di cui l’art. 3, anche la “Legge Islamica” ha diversi punti di incompatibilità con l’ordinamento italiano, la (dis)parità di genere, per citarne una). Il terzo e ultimo comma dell’art. 8 precisa, inoltre, che i rapporti tra questi culti (quelli compatibili con l’ordinamento italiano) e lo Stato devono essere regolati sulla base di intese con le relative rappresentanze. E qui i problemi sono due: il primo è che nessuno è ancora riuscito a dimostrare formalmente che l’Islam sarebbe compatibile con i valori costituzionalmente sanciti, cosa che si fa siglando l’intesa; il secondo è che non c’è rappresentanza, nel senso che, non essendoci una gerarchia piramidale, nell’islam vige l’autoreferenzialità. Chiunque può millantare di rappresentare i musulmani ma nessuno può dimostrare di essere effettivamente rappresentativo. Nei paesi musulmani, i governi individuano degli organismi e conferiscono loro autorevolezza, in Italia è la giungla.
  3. L’Islam non è, sostanzialmente, solo una religione. Ridurre l’Islam ad una semplice religione potrebbe essere persino offensivo per i seguaci di Maometto. La dimensione spirituale è solo una delle tante sfaccettature dell’Islam, ci sono anche le dimensioni legale, politica e sociale, fatta per lo più di doveri e divieti (da imporre in alcuni casi anche agli altri). C’è chi, all’interno dell’Islam si batte per separare la dimensione spirituale dalle altre ma, purtroppo, non ha né molto seguito né successo. Teniamo quindi presente che se diciamo “sì” all’Islam (e la moschea sarebbe un “sì” bello grosso) dobbiamo sapere che ne accettiamo tutte le dimensioni. Sicuri di volerlo ancora?
  4. La moschea non è solo un luogo di culto. Come spiegava egregiamente il celebre studioso delle religioni, Massimo Introvigne, la moschea è molto più di un luogo di culto, ” è un centro dove la comunità si raduna per affrontare questioni culturali, sociali e politiche, oltre che religiose. Nella moschea si trova normalmente, oltre a una scuola islamica, un tribunale coranico che – come è noto – non si occupa solo di questioni strettamente religiose. Tutta l’azione dell’islam politico parte dalla moschea“. Se i musulmani fossero davvero interessati ad avere solo dei luoghi di culto, chiederebbero più sale di preghiera, delle musallayat (sing. musalla). Invece, guarda caso,  chiedono sempre delle moschee, forti del fatto che chi non conosce l’islam le paragona alle chiese cristiane.
  5. E l’integrazione, dove la mettiamo se i musulmani si chiudono in moschea? Fornire o facilitare la realizzazione di centri di aggregazione sociale, culturale, politica e religiosa non aiuterà l’integrazione, cioè l’inserimento dei musulmani nel tessuto sociale milanese. Al contrario, in questo modo se ne alimenta il settarismo. Il politologo Giovanni Sartori, nel suo saggio “Pluralismo, multiculturalismo ed estranei” spiega meglio di me quali sono le dinamiche che portano alla disintegrazione della società. Pisapia e Co. , con la loro politica buonista, ne stanno accelerando il processo.
  6. Perché il minareto? A cosa serve? Ce lo vedete il muezzin che, a Milano, dall’alba al tramonto strilla il richiamo alla preghiera, magari in un arabo cantilenato? I prezzi degli immobili cadrebbero in picchiata. Se i musulmani vogliono svegliarsi alle 5 e prostrarsi in direzione de la Mecca, puntino la sveglia sugli iphone e lascino in pace gli altri. Non dimentichiamo che gli edifici stretti e alti, che si tratti di grattaceli o luoghi di culto, simboleggiano il potere. Un alto minareto altro non sarebbe che un’ostentazione della presenza e dell’influenza territoriale dell’islam.
  7. Le grandi città europee hanno delle moschee, Milano è indietro? A chi fa notare il gap, in termini di presenza di moschee del Italia rispetto agli altri stati europei e lo spaccia come un segno di intolleranza, faccio notare che le nazioni prese a modello, con l’Islam, hanno molti più problemi di noi. Forse non tutti i problemi sono collegati alle moschee ma di rado lo sono le soluzioni. Qualche esempio? Eccolo. No! Non è un caso isolato, googlare per credere!
  8. Non svendiamo il territorio per i soldi degli arabi. Edificare in fretta e furia una moschea con la scusa di gratificare i ricchi visitatori arabi (sperando che per ricambiare il favore investano i loro capitali in Lombardia) è subdolo e servile nel caso funzioni e stupido in caso contrario. Milano è forse in vendita?
  9. Al CAIM sono giovani e spigliati ma chi c’è dietro? Anche se il CAIM di rado si esprime sulla politica estera per non essere accostato a qualche Stato o gruppo politico, agli addetti ai lavori non sono certo sfuggiti certi legami con l’UCOII (il coordinatore, Davide Piccardo è figlio di Hamza Roberto, fondatore dell’UCOII)  e, di rimando, con i Fratelli Musulmani. Visti i casini che da quasi un secolo l’associazione nata in Egitto combina i mezzo mondo, non è esattamente il tipo di organismo con il quale un Sindaco dovrebbe trattare. Un legame, quello tra i Fratelli Musulmani e l’UCOII che formalmente non esiste ma sostanzialmente in molti danno per scontato.
  10. Neanche i musulmani si fidano dei musulmani. Anche il Vicepresidente della Comunità religiosa islamica (COREIS), Yahya Pallavicini ha manifestato le sue perplessità circa la scelta di fare una grande moschea e concederla in gestione al CAIM favorendo la nascita di un potentato vicino a qualche paese islamico e a qualche movimento politico-religioso. «Fra i musulmani  – riporta Pallavicini – c’è il timore che alcuni “partiti” islamici vogliano questa unica grande moschea per imporre il proprio potere.».  Emblematica anche la missiva indirizzata al Sindaco da un gruppo che si firma  “ragazze musulmane che hanno a cuore il futuro della città” nel quale si chiedono garanzie su gestione e finanziamenti. Appare  evidentemente come i vertici del CAIM non ispirino molta fiducia a buona parte dei musulmani stessi.

Potrei citare molte altre ragioni per non costruire la moschea ma, secondo me, queste dieci bastano e avanzano.

Concludo ricordando che, nel 2009, vicende non così diverse, unite all’azione costante e martellante della Lega Nord, hanno fatto tramontare il progetto di una grande moschea a Bologna, costringendo la Giunta bolognese di Cofferati, che tanto si era prodigata, a tornare sui suoi passi.

Speriamo che anche Pisapia realizzi che le buone intenzioni non bastano e che né l’integrazione, né la pacifica convivenza passano dalle moschee.

Umberto Bosco

1 thoughts on “10 (buone) ragioni per non costruire la moschea a Milano

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